Paese: Stati Uniti
Nascita: 1917 | Morte: † 1978
Web: www.smithfund.org
William Eugene Smith – nato a Wichita, Kansas, il 30 dicembre del 1918, è stato uno dei più grandi fotografi documentaristi del mondo.
Ha iniziato a fotografare da giovanissimo, ma dei suoi primi scatti non rimane nulla. Fu lui stesso distruggerli anni dopo, giudicandoli troppo scarsi.
Quando il padre di Smith si suicidò, i resoconti dei giornali sull’incidente distorcono notevolmente le circostanze reali. Questo gli ha fatto mettere in discussione gli standard del giornalismo americano. Smith ha promesso di diventare un fotoreporter, applicando i più alti standard alla propria carriera. Era determinato a cercare assoluta onestà personale nel suo documentario.
Il suo lavoro di fotoreporter comincia con una collaborazione con il giornale della sua città. Nel 1936 viene ammesso alla Notre Dame University, ma la abbandona poco dopo. Trovato un nuovo lavoro presso il settimanale Newsweek, viene licenziato per aver rifiutato di usare le macchine Graphic 4×5.
Dal 1938 al 1939 Smith lavorò come fotografo freelance per la Black Star Agency, pubblicando fotografie in Life, Collier’s, Harper’s Bazaar e altri periodici, incluso il New York Times. Ha lavorato con fotocamere in miniatura, creando una tecnica flash innovativa che gli ha permesso di produrre fotografie per interni che avevano l’aspetto di luce naturale o di lampada.
Nel 1939 la rivista Life lo contatta per una collaborazione come fotografo di guerra nello scenario bellico del Pacifico: Arruolato, come fotografo, nella Marina Militare, volle essere trasferito nell’Esercito per seguire più da vicino l’azione. Fu proprio durante le battaglie sulle isole del Pacifico che scattò le sue prime memorabili foto, dove traspare l’empatia verso le vittime americane. Un continuo immedesimarsi con la sofferenza, la paura e il dolore dei protagonisti. Alcune delle immagini scattate durante queste operazioni divennero vere e proprie icone della seconda guerra mondiale, e dimostrarono la capacità di Smith di raccontare la storia in fotografia.
Smith ha visitato il Giappone tre volte. L’ultima volta fu assegnato alla portaerei statunitense Bunker Hill nel 1944 e fotografò i bombardamenti su Tokyo, l’invasione di Iwo Jima e la battaglia di Okinawa. I suoi saggi fotografici drammatici produssero una raccolta di immagini senza tempo e suggestive, tra cui quella di un piccolo bambino mezzo morto coperto di mosche, salvato da un soldato da una grotta a Saipan; un soldato ferito, orribilmente bendato, disteso nella Cattedrale di Leyte; e un corpo giapponese in decomposizione su una spiaggia di Iwo Jima. La documentazione fotografica di Smith sul teatro del Pacifico della seconda guerra mondiale è considerata tra le più potenti accuse visive di guerra. Su una cresta lungo la costa di Okinawa il 23 maggio 1945, Smith fu colpito da un frammento di una granata che gli lacerò la mano sinistra, il viso e la bocca. Nei due anni successivi fu costretto a dolorosi interventi e a una lunga riabilitazione, un periodo in cui si domandò più volte se avrebbe mai ripreso a fotografare.
Bill Montgomery Iwo Jima © William Eugene Smith Island of Saipan © William Eugene Smith
Quando in 1947 torna a collaborare con Life realizza alcuni dei reportage più noti pubblicati dalla rivista americana. Tra questi Spanish Village, dove si racconta di una cittadina spagnola in pieno franchismo e dell’attività di un medico generico nella campagna americana. Il rapporto con Life finì per deteriorarsi, e con esso crollò la fiducia di Smith verso il sistema dell’informazione americano. Nonostante questo, nel 1971 realizzò uno dei suoi reportage più riusciti, Minamata, in cui fotografò i tragici effetti dell’inquinamento da mercurio in Giappone. Smith e la sua moglie furono attaccati e feriti nel gennaio 1972 durante uno scontro tra le vittime di avvelenamento. Smith ha quasi perso la vista coprendo la storia, ha dovuto cercare cure mediche negli Stati Uniti per le sue ferite.

Questa è stata l’ultima grande storia di Smith. Conteneva alcune delle sue immagini più commoventi. Smith disse:
“La fotografia è una voce piccola, nella migliore delle ipotesi, ma a volte, solo qualche volta, una fotografia o un gruppo di esse può attirare i nostri sensi alla consapevolezza. Molto dipende dallo spettatore; in alcuni, le fotografie possono evocare abbastanza emozione per essere un catalizzatore del pensiero. Altri, o forse molti di noi, possono essere influenzati dall’attenzione alla ragione, per trovare un modo per correggere ciò che è sbagliato e possono persino cercare una cura per una malattia. Il resto di noi può forse sentire più grande senso di comprensione e compassione per coloro le cui vite sono estranee alla nostra. La fotografia è una piccola voce. Ci credo. Se è ben concepita, a volte funziona”.
A 36 anni si dimette dalla nota rivista Life e divenne membro della agenzia Magnum Photo nel 1955. Durante i tre anni successivi contribuì con saggi fotografici a Life, Sports Illustrated, Popular Photography e altri periodici.
L’incarico dal giornalista Stefan Lorant di scattare cento fotografie nella città di Pittsburgh per tre settimane, per la commemorazione del bicentenario della fondazione. In realtà il suo lavoro si prolungò per ben tre anni, per un progetto ambizioso, dove l’idea di Smith era quella di usare la cittadina come esempio per raccontare i paradossi della vita cittadina americana. Un progetto, però, talmente ambizioso da portarlo alla bancarotta.
© W. Eugene Smith / Magnum Photos – Steelworker, 1955-1957 © W. Eugene Smith / Magnum Photos – Workman in Mill, 1955-1957 © W. Eugene Smith / Magnum Photos – Mill Man Loading Coiled Steel, 1955-1957 © W. Eugene Smith / Magnum Photos – Housing & Construction, 1955-1957
Grazie all’interessamento di Ansel Adams, nel 1976 ottiene una cattedra all’Università dell’Arizona, ma una forma molto grave di diabete lo porta al coma. Smith morì a Tucson, in Arizona, il 15 ottobre 1978.
È il sentimento che caratterizza il linguaggio travolgente di Eugene Smith. Lo stile dei suoi reportage ha rivoluzionato la storia del fotogiornalismo e la forza delle sue immagini hanno scritto quella della fotografia.
“Un bianco e nero sporco ed intenso” come pochi, quello che distingue le foto di Eugene Smith. Alla documentazione di aspetti freddi e dolorosi, il fotografo sovrapponeva una sua personale visione creativa, per innalzare la condizione umana ad una dimensione epica.
Smith non ha esitato a ricostruire scene, ad inserire nella stampa parti di fotogrammi diversi e a ritoccare, al fine di ottenere una rappresentazione realistica che amalgamasse la forza espressiva delle immagini con il testo letterario. Da questo derivò il rapporto molto conflittuale con editori e riviste che ha caratterizzato la sua intera vita. Da un lato la sua genialità creativa, dall’altro i sistematici ritardi nella consegna del lavoro e le sue incessanti richieste di assoluta autonomia nel realizzare i report. Smith, infatti, ha sempre creduto nella funzione etica del fotogiornalismo e per raggiungere il suo scopo ha sempre sentito il bisogno di una piena autonomia professionale, nella scelta delle immagini da pubblicare, nella loro sequenza e nell’impaginazione. Un grande maestro per molti, fonte di ispirazione per tutti. Le sue immagini hanno raccontato il secolo scorso con rigore, unicità e completezza senza pari. Le sue non sono semplici foto di documentazione, ma hanno uno spessore emotivo che va al di là della pura cronaca.