VIVIAN MAIER

Paese: Stati Uniti
Nascita: 1926 Morte: † 2009
Web: www.vivianmaier.com

Vivian Maier (New York, 1 febbraio 1926 – Chicago, 21 aprile 2009) è stata una fotografa statunitense, esponente di spicco della street photography, della cui attività artistica si sapeva ben poco fino a pochi anni prima della sua scomparsa. Attualmente è una degli artisti più importanti al mondo, che ha cambiato per sempre il modo di concepire la fotografia. Ha vissuto la sua vita completamente da sola, nell’anonimato, lontana da mostre ed esposizioni.

New York Public Library, New York, 1952 © Vivian Maier/Maloof Collection, Courtesy Howard Greenberg Gallery, New York
New York Public Library, New York, 1952 © Vivian Maier/Maloof Collection, Courtesy Howard Greenberg Gallery, New York

Vivian Maier e la sua vasta quantità di negativi è stata scoperta solo nel 2007, grazie alla tenacia di John Maloof, anche lui americano, giovane figlio di un rigattiere. Il ragazzo era in cerca di fotografie sulla città di Chicago, quando scopre casualmente una valigetta contenente i negativi della Maier. Coinvolto dal lavoro della fotografa, Maloof decide di ricostruirne la vita indagando la personalità dell’artista attraverso gli oggetti a lei appartenuti e di condividere la scoperta con un film documentario intitolato Finding Vivian Maier.

John Maloof ha cercato testimonianze della sua vita negli Stati Uniti, specialmente tra le famiglie presso le quali ha lavorato come bambinaia. La parte francese della biografia di Maier è stata ricostruita grazie al lavoro dell’associazione Vivian Maier et le Champsaur che ha cercato testimoni nel Champsaur, la valle d’origine della sua famiglia materna nelle Alte Alpi.

Vivian Maier nasce il primo febbraio 1926 a New York, nel Bronx. È figlia di Maria Jaussaud, nata in Francia, e del suo marito Charles Maier, di origine austriaca. I genitori presto si separano. Il fratello di Vivian fu affidato ai nonni paterni e Vivian invece rimase con la madre, che trovò poi rifugio presso un’amica francese che viveva nel Bronx, di nome Jeanne Bertrand, nata nel 1880 non lontano dalla valle di Champsaur. Jeanne Bertrand era già una fotografa professionista tanto che ebbe gli onori della prima pagina del 23 agosto 1902 del Boston Globe, il principale giornale di Boston, che pubblicò una sua foto e due ritratti fatti da lei, insieme a un articolo elogiativo sul suo giovane talento fotografico. Fu lei che trasmise a Maria e a sua figlia la passione per la fotografia.

Negli anni ‘30 le due donne e la piccola Vivian si recano in Francia, dove si svolse una parte dell’infanzia di Vivian, dai sei-sette anni fino ai dodici. In quel periodo, Vivian parla francese e gioca con i bambini della sua età; Maria, sua madre, scatta alcune fotografie che testimoniano del loro soggiorno.

Nel 1938 tornano a New York. Dopo la seconda guerra mondiale, nel 1950-1951, Vivian Maier, all’età di 24-25 anni, tornò a Champsaur per mettere all’asta una proprietà che le era stata lasciata in eredità. In attesa della vendita, Vivian, con due apparecchi fotografici a tracolla, percorse la regione, facendo visita ai membri della sua famiglia e riprendendo molte immagini. 

Nell’aprile del 1951 Maier riparte per New York. Con il ricavato della vendita della casa, comprò una fotocamera, una Rolleiflex professionale, e viaggiò nel Nordamerica. In seguito lavorò come bambinaia al servizio di una famiglia di Southampton, prima di stabilirsi definitivamente nel 1956 a Chicago, dove continuò a fare la governante per bambini nella famiglia Gensburg. 

New York, 1954 © Vivian Maier/Maloof Collection, Courtesy Howard Greenberg Gallery, New York
New York, 1954 © Vivian Maier/Maloof Collection, Courtesy Howard Greenberg Gallery, New York

Presso i Gensburg Maier aveva un bagno privato, che le servì anche come camera oscura, avendola lei attrezzata per sviluppare i negativi e i suoi film. La fotografa diede libero sfogo alla sua passione per la fotografia allorché, ad ogni occasione, poté immortalare la vita quotidiana nelle strade con i suoi abitanti, bambini, lavoratori, persone di buona società e personaggi famosi come pure miserabili, mendicanti ed emarginati. 

Mentre era ancora al servizio dei Gensburg, che ricorsero ad una temporanea sostituita, Vivian intraprese, da sola, per 6 mesi, tra il 1959 e il 1960, un viaggio intorno al mondo, visitando le Filippine, la Thailandia, l’India, lo Yemen, l’Egitto, l’Italia e infine la Francia con un ultimo soggiorno a Champsaur girando in bicicletta per tutto il circondario e scattando molte foto. Non disse mai ai Gensburg dove fosse stata, benché fosse molto legata a questa famiglia che conobbe fin dal suo arrivo a Chicago e con cui visse per 17 anni.

Senza titolo, 3 settembre 1960 © Vivian Maier/Maloof Collection, Courtesy Howard Greenberg Gallery, New York
Senza titolo, 3 settembre 1960 © Vivian Maier/Maloof Collection, Courtesy Howard Greenberg Gallery, New York

Quando i figli sono diventati grandi i Gensburg non ebbero più bisogno di una tata e Vivian Maier li lasciò per continuare la sua attività presso altre famiglie con bambini piccoli. Da quel momento smise di sviluppare e di elaborare i suoi negativi e decise di passare alla fotografia a colori con diverse fotocamere, tra cui una Kodak e una Leica.

La madre Maria morì nel 1975 e Vivian, a 49 anni, si ritrovò sola, ma, sempre animata dalla sua grande passione per la fotografia, continuò a guadagnarsi da vivere come bambinaia. Nel 1987 si presentò ai coniugi Usiskin, suoi nuovi datori di lavoro, portando con sé 200 casse di cartone contenenti il suo archivio personale, che furono immagazzinate in un box. Dal 1989 al 1993 Vivian si prese cura con grande umanità di Chiara Bayleander, un’adolescente con handicap mentale. In questo periodo le sue casse furono sistemate in un mezzanino del suo datore di lavoro.

Alla fine degli anni ’90, si ritrova in gravi ristrettezze economiche. Le sue casse, andarono a finire nel box di un magazzino preso in affitto. I figli di Gensburg, con i quali Vivian aveva per molto tempo mantenuto un legame andando a visitarli in occasione di matrimoni, lauree e nascite, la rintracciarono in un piccolo alloggio economico di Cicero e la trasferirono in un grazioso appartamento a Rogers Park vegliando su di lei. Sul finire del 2008, Vivian ebbe un incidente cadendo sul ghiaccio e battendo la testa, per cui fu ricoverata in ospedale. I Gensburg per garantirsi che avesse le migliori cure la fecero trasferire in una casa di cura a Highland Park. Nonostante queste affettuose attenzioni, Vivian Maier morì dopo poco tempo, il 21 aprile 2009, senza che né lei né i Gensburg sapessero che due anni prima, a causa degli affitti non pagati, il suo box era stato messo all’asta, e prima che John Maloof, che cercava sue notizie e voleva valorizzare la sua opera, potesse trovarla e incontrarla.

Il materiale trovato è composto da oltre 150 mila negativi, filmati super 8 mm, tantissimi rullini mai sviluppati, foto e registrazioni audio. Particolarmente interessante è la collezione degli autoritratti in cui Maier si fotografa spesso su superfici riflettenti come specchi o le vetrine dei negozi con la sua inseparabile macchina Rolleiflex 6×6 al collo. Con gli scatti che cattura entra a far parte di quel mondo “di strada”.

© Vivian Maier - Maloof Collection - Courtesy Howard Greenberg Gallery New York
© Vivian Maier – Maloof Collection – Courtesy Howard Greenberg Gallery New York

Vivian Maier riproduce la cronaca emotiva della realtà quotidiana, esprimendo nelle sue opere la sensibilità delle sue origini europee unita al sentimento di libertà e di emancipazione tipicamente americana. I soggetti delle sue fotografie sono persone che l’artista ha incontrato nei quartieri degradati delle città, frammenti di una realtà caotica che pullula di vita, istanti catturati nella loro semplice spontaneità. Molte foto testimoniano i viaggi dell’artista in giro per il mondo, con uno sguardo meravigliato e incuriosito sulla società contemporanea.

I personaggi poveri che appaiono nelle foto vengono immortalati sempre ad una certa distanza. Invece, quando i soggetti appartengono all’alta società si notano elementi di disturbo. Questo dualismo esprime il dissidio di Vivian Maier: da una parte la donna accetta la sua condizione, ma dall’altra vuole emergere socialmente.

Le sue fotografie sono attente ai dettagli, alla vita di tutti i giorni, narrata con i ritratti di bambini, anziani o attraverso mani che si sfiorano, sguardi, gente della strada, artisti, mendicanti, operai. Sono opere che mettono in scena la vita. Considerata “strana” poiché non parlava molto, aveva pochissimi amici, nessun amore, e trascorreva anche le vacanza da sola a scoprire nuovi orizzonti.

All’inizio degli anni ’60 Vivian Maier aveva cominciato a filmare per strada, specialmente luoghi ed eventi. Non c’è voce narrante o movimenti della macchina. Gli unici movimenti sono quelli delle carrozze o della metropolitana. Talvolta Maier ingrandisce i soggetti ma senza soffermarsi particolarmente sui dettagli. I suoi filmati sono più simili a documentari.

Quando passa alla fotografia a colori e cambia anche il punto di vista, considerando che gli elementi immortalati sono principalmente elementi più astratti come oggetti, giornali o graffiti. In questa fase Maier utilizza una macchina Leica, molto più leggera e semplice da usare. Gli scatti a colori di Vivian Maier si contraddistinguono per l’interessante contrasto cromatico. 

C’è una grande particolarità che la distingue da tutti: Vivian Maier non fotografava per gli altri ma per se stessa. Le sue opere non sono mai state esposte o pubblicate quando lei era in vita, anzi molti rullini non sono mai stati sviluppati.

La sua vita è circondata da un mistero così come la sua attività artistica. Vivian Maier era una semplice bambinaia di piccoli benestanti, che ha esercitato la sua professione, in mancanza di altro, per quarant’anni, ma che non ha mai abbandonato la sua macchina fotografica.

Una donna, indipendente e forte, che ci ha lasciato un dono inestimabile quando, in maniera compulsiva e con uno sguardo meticoloso, annotava tutto quello che vedeva e succedeva attraverso scatti e fogli, come se avesse una doppia vita nascosta. 

“Ho fotografato i momenti della vostra eternità, perché non andassero perduti” Vivian Maier

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