Paese: Germania
Nascita: 1910 Morte: † 1937
Gerta Pohorylle, meglio conosciuta come Gerda Taro (Stoccarda, 1º agosto 1910 – Brunete, 26 luglio 1937), è stata una fotografa tedesca. Fotografa reporter sulla linea del fronte, fino al giorno della sua morte ha fornito le principali riviste dell’epoca di immagini sensazionali, spesso scattate insieme al fotografo ungherese Robert Capa che era all’epoca il suo compagno. Gerda Taro fu la prima reporter donna a morire in un’azione di guerra mentre svolgeva il proprio lavoro. Negli anni a venire, il ricordo della sua opera sarebbe via via sbiadito, fino a scomparire dietro la celebre e ingombrante figura del fotografo mondialmente noto, Robert Capa.
Nacque a Stoccarda nel 1910 in una famiglia della buona borghesia ebraica di origini galiziane. Crebbe a Lipsia, adolescente spensierata, studentessa eccellente. Bella, estroversa, ribelle, è inevitabilmente coinvolta nell’ascesa del nazismo in Germania, al quale si oppone apertamente. Il 19 marzo 1933 venne arrestata e imprigionata con l’accusa di attività sovversiva e propaganda antinazista. Il 30 gennaio di quello stesso anno tale Adolf Hitler era diventato cancelliere, eletto dalla maggioranza del popolo tedesco. Gerda non era, e probabilmente non fu mai, iscritta ufficialmente ad alcuna organizzazione o partito comunista, ma la sua educazione e la sua cultura erano squisitamente laici e di sinistra e la sua natura profondamente rivoluzionaria.
Di quella esperienza di detenzione c’è una testimonianza di una compagna che racconta come Gerda al suo ingresso in cella si fosse scusata con le altre detenute per il proprio abbigliamento: “le SA mi hanno arrestata proprio mentre stavo uscendo per andare a ballare”. Divenne presto la Liebling, l’idolo, delle prigioniere: distribuiva le sigarette che il padre riusciva a farle arrivare, cantava arie americane, insegnava alle compagne parole di inglese e francese, lingue che lei padroneggiava con disinvoltura. Gerda escogitò ed insegnò anche a comunicare con le celle vicine con l’alfabeto dei colpi. Restò in prigione 17 giorni, salvata anche dal proprio passaporto polacco, dopo il suo rilascio decise, o i suoi genitori per lei, di lasciare la Germania. Alla fine dell’estate del 1933, dopo un viaggio in Italia, Gerda decide di cercare rifugio a Parigi, dove sempre più artisti, intellettuali e fotografi si sono trasferiti e continuano a giungere, mossi dalle sue stesse motivazioni e dal fervore artistico che caratterizza la capitale francese in quegli anni. Non era ancora pensabile che l’esercito nazista potesse un giorno occupare Parigi, che sembrava una città sicura e democratica, una roccaforte di libertà.
A Parigi i primi tempi furono duri, sistemazioni di fortuna presso amici o conoscenti, piccoli lavori: ragazza alla pari, segretaria, modella. Parigi era il centro di un’intensa attività artistica, letteraria e politica e molti dei protagonisti erano emigrati come Gerda. Nei caffè che anche lei frequentava si potevano incontrare grandi nomi, Walter Benjamin, Joseph Roth, Ernest Hemingway e personaggi meno conosciuti. Era il settembre del 1934 quando Gerda incontrò un giovane fotografo ungherese, Endre Friedmann che come lei, partendo dall’Ungheria e dopo un breve soggiorno in Germania, era giunto a Parigi. Fu l’incontro del destino – uno che le cambiò per sempre la vita.
Endre Friedmann, di appena 2 anni più giovane e fotografo, aveva francesizzato il suo nome in André e aveva già raggiunto una certa notorietà per avere realizzato, nel 1932, lo scoop fotografico di Trotskij che parlava agli studenti universitari di Copenhagen. Era quello che oggi si direbbe un freelancer, come molti che si presentavano nelle redazioni parigine di quell’epoca.
© Gerda Taro, Spagna, Barcellona, 1936 © Gerda Taro, Spagna, 1936
Gerta e Andrè da chi li conosceva sono stati descritti come belli, affascinanti, traboccanti di vita e intensamente liberi. Dopo il loro incontro si innamorarono, vissero insieme, si separarono, si ritrovarono, non si persero mai di vista.
Si fidanzano e sarà proprio Andrè a portare Gerda alla fotografia. Grazie a lui Gerda ottenne un impiego fisso all’agenzia anglo continentale Alliance di cui, per un anno, fu la factotum, dove perfezionò la tecnica della fotografia e della stampa e imparò a conoscere e trattare il mercato del fotogiornalismo in crescita.

Insieme, un po’ per sfida, un po’ per opportunità, inventano il personaggio “Robert Capa”, un fantomatico celebre fotografo americano giunto a Parigi per lavorare in Europa, troppo impegnato a fotografare per mantenere i contatti con le redazioni. L’assonanza del nome con quello del celebre regista Frank Capra e l’aura che sempre circondava i fotografi d’oltreoceano permise a Friedmann-Capa e Gerta-Gerda Taro (anche il suo nome d’arte richiamava una certa assonanza con quello di Greta Garbo) di essere considerati con maggiore attenzione; ben presto i loro pseudonimi divennero una presenza fissa sui maggiori settimanali francesi. Grazie a questo curioso espediente la coppia moltiplica le proprie commesse e guadagna parecchi soldi. Le loro foto erano firmate indifferentemente Capa o Taro: questo rende ancora oggi difficile distinguere quelle dell’uno da quelle dell’altra.
Robert Capa nel giro di qualche mese diventò un fotografo richiestissimo e molto apprezzato.

Nel luglio del 1936 scoppiò l’insurrezione franchista. La rivista «Vu» li ingaggiò per documentare la guerra civile spagnola ed insieme partirono verso i fronti, scegliendo come punto di vista la guerra dalla parte della popolazione civile e il fronte dei repubblicani. Avevano due macchine fotografiche una Rolleiflex e una Leica, entrambi usavano entrambe, fotografavano la folla, il fermento, le barricate, le milizie, il fronte. Entrambi firmavano indifferentemente le proprie fotografie “CAPA”. Le loro fotografie venivano pubblicate dal settimanale e dai quotidiani, in particolare Ce Soir. Anche la nuova e già importante rivista Life pubblicò le loro immagini.

Ritornarono a Parigi e poi diverse volte in Spagna. Il sodalizio professionale e sentimentale era intenso e proficuo. Erano una coppia, ma Gerda rifiutò ripetutamente di sposare Andrè. Voleva “rimanere un essere libero. La sua compagna, pari in ogni campo, compreso l’amore: non sua moglie”.
Nel Luglio del 1937 i Capa erano ancora in Spagna a documentare la guerra. Andrè doveva rientrare a Parigi per trattare con alcune agenzie e cercare finanziatori per un viaggio in Cina. Gerda rimase a Madrid. Si lasciarono con l’intesa di ritrovarsi a Parigi dopo una decina di giorni. Non si videro più.
Proprio in quel periodo Gerda realizzò il suo più importante reportage durante la battaglia di Brunete e fu proprio di ritorno da quel fronte che la giovane fotoreporter perse la vita, era stata troppo vicina. Aveva lavorato intensamente, incurante del pericolo, dopo ore passate in un buco a fotografare aveva terminato i rullini, così aveva trovato un passaggio per rientrare a Madrid viaggiando aggrappata al predellino di un’auto colma di feriti.
Inaspettatamente aerei tedeschi attaccarono il convoglio. Un carro armato “amico” perse il controllo e investì l’auto a cui era attaccata Gerda che cadde rimanendo schiacciata sotto i cingoli.
Si mostrò incredibilmente forte e coraggiosa, ma era ferita molto gravemente. Fu sottoposta a trasfusione e operata. Il medico che l’aveva in cura raccomandò di non farle mancare la morfina per renderle più sopportabili quelle ore. All’alba del 26 Luglio chiuse gli occhi. Per sempre.

Testimoni raccontano che spesso incitava lei stessa i combattenti “all’attacco”; la sua fede rivoluzionaria e antifascista era puro slancio. L’articolo che venne pubblicato sulla rivista Regards, diede un grande lustro alla reporter tedesca.
La notizia della morte di Gerda fece il giro del mondo suscitando immensa commozione, era la prima donna reporter a cadere al fronte. La salma era trasportata a Parigi e un lungo corteo funebre voluto dal Fronte Popolare l’ha seguito fino al cimitero di Père-Lachaise dove è stata sepolta il 1 agosto: il giorno del suo ventiseiesimo compleanno. La pietra tombale è stata disegnata per lei da Alberto Giacometti. I nazisti, una volta occupata Parigi, non persero l’occasione di sfregiare la sua tomba distruggendola: quella di una loro connazionale che aveva scelto la democrazia e la libertà combattendo contro il fascismo con le sue fotografie. Morta per la libertà e la fotografia. Oggi la sua lapide porta solo il suo nome, Gerda Taro, e due date 1910-1937.
Robert Capa fu devastato: “piangeva e singhiozzava senza tregua”. Gli amici temettero che potesse commettere qualche sciocchezza. Di Gerda fino alla morte disse sempre che era stata la donna della sua vita. Gerda – una giovane donna bella, affascinante, talentuosa e libera che è stata, sia pur brevemente, l’altra metà del grande artista e fotografo celato dallo pseudonimo Robert Capa e poi troppo a lungo fu dimenticata. Più volte Robert Capa raccontò che all’alba di quel 26 luglio 1937 era morto anche lui.
Solo negli ultimi anni, cercando di distinguere la produzione della Taro da quella di Capa, ci si è meglio soffermati sulla individuazione del lavoro della fotografa. Un buon criterio, anche se non infallibile, è distinguere i formati dei negativi: Gerda infatti usava prevalentemente un apparecchio con negativo 6×6, ma è nell’inquadratura che le differenze si fanno evidenti. Gerda difficilmente si pone al centro dell’azione per fotografare alla pari con chi le sta attorno, ma cerca sempre una posizione che le permetta una composizione completa della scena, così da renderla il più descrittiva possibile. Il suo impegno politico faceva sì che considerasse la fotografia non come fine a se stessa, arte o mestiere che fosse, ma come una forma di militanza vera e propria, di testimonianza utile di quei giorni cruciali. Nei ritratti tende sempre ad esaltare la figura dei combattenti con angolazioni prese dal basso e l’isolamento del soggetto. Nel racconto della battaglia, invece, si pone come testimone oculare. La sua è una visione diretta senza alcuna ricerca di effetti, ma con l’accuratezza di far sentire il proprio punto di vista come quello di chi sta guardando l’immagine. Le sue fotografie sono ancora oggi tra i documenti visivi più importanti della guerra civile spagnola vista dalla parte dei combattenti repubblicani.
Soprattutto, però, bisogna ricordare che Gerda Taro è considerata la prima donna fotografa impegnata in prima linea e purtroppo anche la prima a morire in guerra. Non una morte eroica, ma banale, come è spesso la morte e come sarà molti anni dopo anche per Capa.