Paese: Stati Uniti
Nascita: 1946
Web: www.brucegilden.com
Bruce Gilden è un street photographer americano. Famoso per i suoi metodi poco ortodossi, Gilden fotografa “in faccia” ai suoi soggetti usando un flashgun – un flash lampeggiante e provocando volutamente una reazione. È noto soprattutto per le sue candide fotografie ravvicinate di persone fatte per le strade di New York City.
Nato a Brooklyn, New York, nel 1946, Gilden studia sociologia presso la Penn State University ma trova i corsi troppo noiosi per il suo temperamento e lascia il college. Gilden gioca brevemente con l’idea di essere un attore ma nel 1967 si sentì attratto dalla fotografia come stile di vita dopo aver visto il classico film di Michelangelo Antonioni “Blow Up” del 1966. Decide di acquistare una macchina fotografica Miranda e diventare un fotografo. Per sostenere la sua fiorente abitudine fotografica guida un taxi giallo di New York, ma ha scopre che il lavoro non gli lascia il tempo di fare foto. Così ha lasciato e ha iniziato a guidare un camion part-time per gli affari di suo padre, camminando per le strade con la sua macchina fotografica nei suoi giorni liberi. Da allora, Bruce Gilden ha continuato a concentrarsi su personaggi forti e ad applicare il mantra di Robert Capa al proprio lavoro: “se la foto non è abbastanza buona, non sei abbastanza vicino”. Sebbene abbia frequentato alcuni corsi serali presso la School of Visual Arts di New York, Bruce Gilden è considerato sostanzialmente un fotografo autodidatta.

Ben presto trova il suo sistema di lavoro in una Leica M6 con obiettivo 28 mm e l’uso di un flash esterno separato dalla camera. Il primo progetto personale a lungo termine di Gilden, dal 1968 fino alla fine degli anni ’80, vede protagonista Coney Island, la leggendaria spiaggia di New York. Proprio li scopre la passione per gli strani personaggi della città. Le forti forme dinamiche delle immagini scattate nell’arco di vent’anni, riuniscono l’eccentrico e l’ordinario, sotto uno sguardo grottesco. Da questo progetto nasce il libro Coney Island, pubblicato nel 2002. Mentre dal 1975 al 1982 si dedica ad immortalare il “Mardi Gras” (martedì grasso) di New Orleans.

Nel 1984 si reca per la prima volta ad Haiti. Attratto dalla singolare miscela di passione e apatia della gente, torna nell’isola durante dieci anni. Nel 1996 il suo libro Haiti, sintesi di crudeltà e fatalismo, resistenza e disperazione vince l’European Publishing Award for Photography.
Gilden ha viaggiato a lungo lavorando su commissione e realizzando progetti fotografici in Paesi come l’India, la Russia e la Romania, ma è ritornato sempre sulle strade di New York, dove, dal 1981, lavora ininterrottamente. Il lavoro a New York diventa, con il tempo, sempre più estremo. Le distanze tra il fotografo e i soggetti si riducono sempre di più. La velocità con cui Gilden sorprende i suoi soggetti è veramente invidiabile. Li affianca o li supera, aspetta il momento giusto e scatta con una tale rapidità da suscitare reazioni uniche e di forte impatto. Spesso ne corregge le traiettorie con il proprio corpo – induce la gente a fare determinati percorsi, a spostarsi nella posizione perfetta. Il punto di vista è quasi sempre dal basso, il flash tenuto in una mano, solitamente è spostato di un angolo di circa 45° rispetto al soggetto. L’uso attento della luce, riesce a creare delle ombre capaci di esaltare le qualità delle persone ritratte. Le ombre nette e l’estrema vicinanza con il suo soggetto rendono di grande impatto ogni singolo scatto. I suoi soggetti sono tutti assolutamente distinti dalla massa. Hanno un qualcosa che li caratterizza e li differenzia dal resto delle persone. Da questo lavoro nascono due libri, “Facing New York” del 1992 e “A Beautiful Catastrophe“, del 2005.
Nel 1994 si trasferisce in Giappone dove inizia uno dei suoi progetti più noti dedicato a un lato oscuro di questo paese, la mafia giapponese. Le immagini di questo progetto, pubblicate nel libro “Go”, si dividono in tre categorie: le bande di Yakuza (la mafia giapponese), la vita senza tetto e i Bosozoku (le bande di teppisti motorizzati). Gilden ha saputo ritrarre lo stile, la drammaticità e la filosofia di questi individui come nessuno ha mai fatto. E’ entrato in contatto con loro, è rimasto vicino a loro senza fare troppe domande. A Gilden interessavano le foto e non che i tizi fotografati fossero assassini. Estetica e cultura della Yakuza trasudano da ogni singolo sguardo, tatuaggio o atteggiamento ritratto.
Inizia a lavorare in Florida nel 2008 al primo segmento della serie dedicata alla preclusione del diritto di riscatto delle proprietà immobiliari in America: No Place Like Home. Continua il progetto a Detroit, a Fresno, a Reno e Las Vegas. E’ entrato a far parte di Magnum Photos nel 1998.
Bruce Gilden © Nathan, Iowa State Fair, 2017. Bruce Gilden © Trinity, Iowa State Fair, 2017
Legato da sempre al bianco e nero, nell’ultimo periodo Gilden si avvicina al digitale a colori. Nascono dei ritratti estremi. La strada non risulta più visibile. Le immagini sono interamente riempite da visi schiacciati da un eccessivo grandangolo. Il risultato è impattante. Gilden sceglie persone che sono state colpite dalla vita stessa (poveri, alcolizzati, senza tetto) e ne ritrae i visi indifesi, spingendo sulla bruttezza e l’eccentricità. Da questo progetto nasce il libro “Face”.
Bruce Gilden © Cody, Iowa State Fair, 2017 Bruce Gilden © Morgan, Iowa State Fair, 2017 Bruce Gilden © Jenna, Iowa State Fair, 2017
Gilden è il soggetto del film documentario Misery Loves Company: The Life and Death of Bruce Gilden (2007).
l suo stile provoca sentimenti contrastanti e si potrebbe discutere su quanto queste immagini siano eticamente corrette. Tuttavia il risultato è spettacolare. Premiato nel 2013 con la Guggenheim Fellowship, il lavoro del fotografo americano è stato esposto in tutto il mondo e fa parte di molte collezioni permanenti, tra le tante quelle del MOMA, del Victoria & Albert Museum di Londra e del Museo Metropolitano di Tokyo.
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